Dal Sole24Ore del 3/02/2015
La voluntary disclosure è una grande opportunità per gli eredi che intendano regolarizzare attivi esteri detenuti dal de cuius in violazione della normativa sul monitoraggio fiscale (e attivi italiani, in caso di disclosure nazionale). In questo articolo vengono esaminati una serie di quesiti emersi in occasione della prima uscita del roadshow con gli esperti del Sole 24 Ore, organizzato in collaborazione con Monte dei Paschi di Siena
La convenienza è elevata non solo perché le sanzioni (riferibili al defunto) sono intrasmissibili agli eredi, ma anche perché si può “liberare” l’asse ereditario e impiegarlo come meglio si crede. L’evento di liquidità, come lo chiamano i family office, o comunque il subentro nel possesso di asset, può rappresentare un’occasione per ottimizzarne il passaggio generazionale. Gli eredi sono tenuti a presentare in via telematica il modello di disclosure sia in nome proprio (se hanno anch’essi violato gli obblighi di monitoraggio, dopo il decesso del de cuius) che per il defunto. In relazione alla posizione di quest’ultimo, c’è l’obbligo di corrispondere unicamente le maggiori imposte sottratte a tassazione, in quanto le sanzioni sono intrasmissibili agli eredi; costoro, invece, con riguardo alla propria posizione, devono pagare sia le imposte che le eventuali sanzioni. Nella relazione accompagnatoria da presentare nei 30 giorni successivi all’istanza vanno dettagliate violazioni e imponibili sia ante che post mortem. In presenza di più eredi, le posizioni di questi ultimi sono intimamente connesse e rientrano nella nozione di “soggetto collegato”.
Per tale ragione è opportuno che tutti gli eredi accedano alla disclosure. Attenzione: se il decesso è avvenuto in un periodo ancora accertabile ai fini dell’imposta di successione (il periodo di decadenza per il fisco è di due anni, nel caso in cui la dichiarazione di successione sia stata presentata, o di cinque anni in caso di omissione della dichiarazione, che avrebbe dovuto essere presentata entro 12 mesi dall’apertura della successione) dovrà essere corrisposta anche tale imposta, non coperta dalla disclosure (come l’Ivie e l’Ivafe), e presentata una dichiarazione di successione integrativa. Nel caso in cui l’erede sia coniuge o parente in linea retta, l’imposta di successione si applica con l’aliquota del 4% sul valore ereditato eccedente la franchigia di un milione. Se, invece, gli eredi sono fratelli o sorelle del disponente o altri suoi parenti fino al quarto grado o suoi affini in linea retta o suoi affini in linea collaterale fino al terzo grado, l’aliquota sale al 6%, con la precisazione che, a favore dei soli fratelli e sorelle, è stabilita una franchigia di 100mila euro. Ai fini sanzionatori si applica, in caso di omessa dichiarazione, la sanzione dal 120 al 240% dell’imposta liquidata o riliquidata dall’Ufficio; mentre, in caso di infedele dichiarazione, la sanzione va dal 100 al 200 per cento. In caso di disclosure, tali sanzioni possono essere ridotte utilizzando le regole di definizione ordinaria. Non essendo una “imposta da disclosure” eventuali riduzioni ulteriori sono una facoltà per l’Agenzia, non un obbligo. Si ritiene che le imposte da pagare per conto del de cuius rappresentino passività deducibili dall’attivo ereditario in base all’articolo 21, comma 5 del Tus, per il quale i debiti tributari del defunto, i cui presupposti si siano verificati prima della morte, sono deducibili dall’attivo ereditario, anche se accertati in data posteriore.
Dal Sole24Ore del 3/02/2015